Bristol non è solo una città britannica: quando si nomina quella parola, e l’argomento trattato è la musica, si potrebbe anche non dire altro. Sì, perché, come già accaduto in passato (mi viene in mente Manchester, per esempio), ci sono band che imprimono un timbro sonoro talmente profondo a livello musicale al punto da connotare la città di provenienza con un genere, un mood, un sound e con essa, spesso, si rimanda anche ad un momento storico ben preciso.
Basterebbe quindi dire che Ghostpoet (al secolo Obaro Ejimiwe) è nato a Londra MA vive a Bristol. E allora viene spontaneo accostare soprattutto questo suo ultimo lavoro alla produzione dei Massive Attack (con annessi e connessi); va detto che, comunque, Ghostpoet con i Massive Attack ha effettivamente collaborato, inciso e suonato e che quel “timbro sonoro” così possente ha lasciato un segno ben evidente, e sarebbe disonesto non riconoscerlo o non affermarlo, e Grant Marshall restituisce il favore cantando in “Who Is Meee”. Ma questo spettrale poeta non è un debuttante in cerca di miti a cui ispirarsi visto che Dark Days + Canapés è il suo quarto lavoro, prodotto da Leo Abrahams (come già anticipato su queste pagine un mesetto fa, all’indomani dell’uscita dell’album).
E se le influenze di cui sopra ci sono e restano evidenti, se l’impostazione del disco sembra quasi rivendicare un’appartenenza ad un genere dalle connotazioni ben chiare, la rielaborazione di quei suoni, unita alla matrice blues/elettronica ereditata degli album precedenti e alla splendida voce baritonale – e a tratti strascicata – di Obaro, rendono “Dark Days + Canapés” un lavoro intrigante e fluido, con ballate elettriche intense, tanto potenti quanto intime. A questo si aggiungano testi che trattano argomenti legati alla brutalità della società odierna (come “Karoshi”, un termine giapponese che significa morte per troppo lavoro oppure “Immigrant Boogie” – pezzo straordinariamente intenso, dedicato al dramma vissuto da tutti coloro che rischiano la vita per cercare un po’ di felicità andando verso un mondo che li respinge, indifferente alla loro disperazione) e al disagio interiore che riflette una realtà distopica dentro la quale non c’è posto per nessuna speranza (in “Live-Leave” canta: ‘I’m afraid of the future/I’ve forgiven the past/got my head above water/wonder how long I’ll last’).
Questo è un album riflessivo ed intelligente, che descrive questo mondo come un labirinto buio all’interno del quale Ghostpoet si sente intrappolato e la musica può forse essere di aiuto per trovare una via per abbattere quelle barriere che impediscono di abitarlo un po’ più serenamente. Anche solo per questo, è un privilegio essere compagni di Ghostpoet in questo magico viaggio.
(Patrizia Lazzari)