Se sto a scrivere di band da più di quattro anni con cadenza pressoché settimanale lo devo in gran parte a band come gli UT. La gioia dello scoprire dell’esistenza di band così potenti e capaci di scrivere grande musica rimanendo nell’ombra dell’underground italiano mi spinge a continuare ad ascoltare, scoprire e tentare di comprendere la musica di decine di band quasi tutte di umile origine.
Andiamo, dunque, a parlare concretamente degli UT: sono una band di Genova e suonano noise rock, quello sporco e matematico vicino a gente nostrana come i primi One Dimensional Man, Three Second Kiss e Lucertulas o progetti storici come Shellac e Unwound. Se non siete amanti di queste sonorità sferraglianti e grezze allora è il caso che la chiudiate qui con la lettura e non vi azzardiate nemmeno a far partire il player su bandcamp. Se, invece, state dalla nostra parte allora sappiate che siamo di fronte ad una delle migliori band italiane nel campo della distorsione touch&go e potete tranquillamente smettere di ascoltare l’ultimo dei Metz, perché questo disco è semplicemente più bello e coinvolgente del già buonissimo secondo del trio canadese.
L’inizio del disco è una fulminante fiocinata noise che attacca con un basso secco, che sostiene furiose sferzate di chitarra e versi urlati proprio alla maniera dei già citati Lucertulas, maestri del post-hardcore-noise dei nostri giorni. La musica degli UT è però più anarchica e malata del trio veneto facendomi protendere per un paragone da veri intenditori: questi genovesi sono una versione più feroce dei So.lo, duo veneto dalla lunga esperienza live, ma con all’attivo un solo EP vecchio di qualche annetto ormai. L’ira noise non si esaurisce, comunque, col primo pezzo, anzi, aumenta d’intensità in “Trick or Treat”, bestiale cavalcata tiratissima. Gli UT non sono, però, soltanto rabbia incontrollata, infatti, in “The Hollow Men”, riprendono fiato andando a costruire trame sonore simili per atmosfera e decadimento agli eroi Slint, vedi per gli improvvisi scoppi elettrici e per l’utilizzo di versi recitati, per non dire sussurrati. In “Alice” i nostri propongono una via più quadrata e “melodica” della materia post, lasciando molto spazio a arpeggi e intrecci di chitarra di sonic-youthiana memoria. Un altro ottimo pezzo è “TV Daze”, il più dritto del lotto, magistralmente sospeso tra tiro hardcore e stop&go atonali e assonanti come sapevano fare alla grande i veronesi Hell Demonio. Un ultimissimo accostamento mi sento di farlo con gli Shellac, non tanto per la musica in sé, quanto per l’atteggiamento rilassato e noncurante di ciò che li circonda che trasuda da questo bell’esordio così come ogni uscita della band di Albini è dettata solo dal piacere di farla uscire.
A conti fatti, dunque, questo Noise Deadening Barrier è un ottimo disco: ben suonato, ben registrato e con bei pezzi. Complimenti alla band tutta e a Marsiglia Records, attentissima label attiva da 15 anni giusti giusti.
(Aaron Giazzon)
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